Nelle aranciate ci saranno più arance. Sembra un paradosso ma, come tutti sappiamo, non è detto che una bevanda al gusto di arancia abbia in effetti al suo interno vero succo di arancia. Dopo 60 anni storico stop alle aranciate senza arancia per l’entrata in vigore del provvedimento nazionale che innalza dal 12% al 20% il contenuto di succo d’arancia delle bevande analcoliche prodotte in Italia e vendute con il nome dell’arancia a succo o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino. Lo rende noto la Coldiretti in occasione dell’applicazione delle disposizioni contenute nella legge 161 del 30 ottobre 2014 che scattano dal 6 marzo trascorsi dodici mesi dal perfezionamento con esito positivo della procedura di notifica alla Commissione Europea del provvedimento in materia di bevande a base di succhi di frutta come richiamato dal comunicato della Presidenza del Consiglio del 24/5/17. Si tratta di un risultato importantissimo sia per gli agricoltori che per i consumatori.

Si tratta di una modifica storica che avviene dopo 60 anni: la norma precedente, infatti, era del 1958. Questo nuovo provvedimento vuole da un lato tutelare i consumatori adeguandosi ad un contesto programmatico europeo che tende a promuovere una alimentazione più sana ed a diffondere corretti stili alimentari. Alcuni studi hanno posto in evidenza che una bevanda con il 20% di succo di arancia aiuta a soddisfare il fabbisogno giornaliero di vitamina C. Dall’altro, si contribuisce ad offrire il giusto riconoscimento alle bevande di maggior qualità riducendo l’utilizzo di aromi artificiali e soprattutto di zucchero la cui elevata concentrazione potrebbe essere utilizzata per sopperire alla minore qualità dei prodotti.

Il consiglio della Coldiretti è quello di verificare nelle etichette delle aranciate l’effettiva presenza di un contenuto in succo minimo del 20% poiché la norma prevede che le bevande prodotte anteriormente alla data di inizio dell’efficacia delle disposizioni possano essere commercializzate fino ad esaurimento delle scorte.
Non indifferente anche l’impatto economico sulle imprese agricole poiché l’aumento della percentuale di frutta nelle bibite andrà a salvare oltre diecimila ettari di agrumeti italiani con una estensione equivalente a circa ventimila campi da calcio, situati soprattutto in regioni come la Sicilia e la Calabria. L’aumento della percentuale del contenuto minimo di frutta al 20% corrisponde all’utilizzo di 200 milioni di chili in piu’ di arance all’anno con effetti anche dal punto di vista paesaggistico in una situazione in cui una pianta di arance su tre (31%) è scomparsa in Italia negli ultimi quindici anni, mentre i redditi dei produttori sono andati a picco.

 

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